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La risposta dei Precari dell'Istat all'Unità

Gentile redazione,
Lamerica è un film uscito quando di precarietà del lavoro ancora non si parlava. E’ ambientato nell’Albania degli anni ’90, un Paese a un passo da noi che versa in condizioni sociali, economiche e politiche disastrose. Racconta di come l’Italia rappresenti un sogno per coloro che, sull’altra sponda dell’Adriatico, cercano di mettersi in salvo dalla rovina e dalla miseria.

L’Istat come Lamerica, scrivete (l’Unità 03/06/2011). Questo film invece è ambientato in Italia, un Paese in cui il tasso di disoccupazione giovanile è al 30%, in cui il numero di precari ammonta a 4 milioni di unità, in cui su 100 giovani con contratto flessibile solo 16 passano a tempo indeterminato a distanza di un anno. E così come nel film di Amelio il sogno dei disperati, il posto fisso, ha le stesse probabilità di realizzarsi del celebre terno al lotto.
Ma non è tutto. Infatti, in mezzo a quelle 13.000 persone che aspirano alla continuità di un lavoro e della vita ci sono altri 350 lavoratori che si trovano in una condizione molto particolare.
Siamo noi, i precari dell’Istat. 350 persone che hanno già un numero di matricola, un tesserino da timbrare come vuole Brunetta, una scrivania, un PC, un indirizzo e-mail, un capo e soprattutto molto, molto lavoro da sbrigare.
Insieme ad altre migliaia di persone abbiamo partecipato a un concorso pubblico del tutto assimilabile a quello attuale, infatti, al contrario di quello che scrivete, l’Istat ha bandito diversi concorsi nell’ultimo anno seppur a tempo determinato. Abbiamo sostenuto scritti e orali, abbiamo visto valutati i nostri curricula, i titoli e le pubblicazioni. Risultati idonei, siamo stati assunti dall’Istat a ondate successive con contratti al massimo di 24 mesi.
Insomma, per farla breve, da circa un anno l’Istat assolve ai suoi compiti istituzionali anche attraverso il nostro contributo, quello di 350 lavoratori precari ultra-qualificati che per aspirare alla continuità del lavoro che già svolgono sono costretti a sottoporsi nuovamente alle medesime procedure concorsuali.
L’illogicità di bandire un nuovo concorso, non risiede solo nella cecità di una scelta che appare antieconomica e azzardata ma si accompagna a una volontà che ha dell’incredibile: infatti, mandare a casa 350 lavoratori formati e inseriti oltre ad essere improduttivo, è folle!

Siamo ricercatori, tecnologi e tecnici; da precari contribuiamo a produrre le statistiche che dovrebbero guidare la politica nel complicato processo decisionale. Diamo la possibilità ai giornalisti, agli esperti di tutti i settori e più in generale alla società civile, di comprendere i fenomeni socio-economici che caratterizzano il nostro Paese: disoccupazione, precariato, vulnerabilità sociale, povertà, ecc. – gli stessi che, per ironia della sorte, viviamo in primis sulla nostra pelle.
Eppure, alcune cose proprio non riusciamo a capirle:

-      Perché l'Istat vuole disperdere il patrimonio di competenza e professionalità che sta formando e su cui sta investendo ingenti risorse?
-   Perché preferisce spendere milioni di euro per espletare una nuova procedura concorsuale quando il personale di cui necessita è già operativo all’interno dell’Ente?
-   Perché le persone che hanno già vinto quel concorso non vanno bene? Quali altri requisiti devono possedere i fortunati che entreranno di ruolo?
-   Perché non applica l'articolo 5 del CCNL del comparto Enti di Ricerca che recita: "Qualora l’assunzione a tempo determinato avvenga con le medesime modalità e procedure previste dalla legge per i concorsi a tempo indeterminato, l’Ente potrà, nei limiti stabiliti del fabbisogno di personale e previo il superamento di un’ulteriore verifica sull’attività svolta e sulla qualificazione conseguita, trasformare il rapporto a tempo indeterminato."?
-      Con quale ratio vengono spese le risorse pubbliche?
Insomma non ci si dica che questo concorso è un’opportunità. Il danno è fatto, la beffa risparmiatecela. Almeno questo.
I precari dell’Istat

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